Da piccola mi sarebbe piaciuto diventare avvocato per il forte desiderio di difendere i deboli dalle ingiustizie e dai soprusi dei potenti. Un sogno che cresceva anche grazie ad alcune persone venute nella mia classe per farci conoscere la situazione dell’apartheid in Sudafrica. Avevo 12 anni eppure è ancora vivo il ricordo di quella sofferenza mista a rabbia, provata davanti alle immagini e alle testimonianze che narravano come la dignità umana venisse calpestata. Mi nacque spontaneo fare una domanda: “Perché? Non è giusto. La storia non insegna nulla?”. Una domanda a cui io stessa, a distanza di qualche anno, ho cercato di dare risposta con una scelta di vita. Di fatto, non in tribunale (visto che non sono diventata avvocato), ma sulle strade del mondo e nelle aule delle scuole, dove il Signore ha voluto che difendessi i diritti degli impoveriti, cerco di dare compiutezza al mio desiderio di difendere i più piccoli, i deboli e gli indifesi.
In ambito scolastico il linguaggio più idoneo per tradurre quello che come missionari realizziamo è educazione alla cittadinanza globale, attraverso cui presentiamo i temi della diseguaglianza e dei diritti, del consumismo e della sobrietà, del cambio climatico e dei nuovi stili di vita. Tuttavia, al di là delle argomentazioni economiche, politiche e sociali, a me piace raccontare di Javier, Marìa, Alejandro e di tanti altri amici – perché tali sono, prima di essere “poveri” – vittime di un sistema iniquo. Bambini e adulti con cui ho condiviso un pezzo di strada, con cui ho pianto e sorriso, a cui ho detto grazie e ho chiesto scusa, a cui ho voluto bene e da cui mi sono sentita amata perché nella loro povertà mi hanno dato tanto.
È una grande responsabilità condividere con bambini, adolescenti e giovani l’esperienza missionaria che ho vissuto per 8 anni in Perù e ogni volta gioisco per l’accoglienza che trovo e per il desiderio di tanti di impegnarsi per un mondo più fraterno e giusto. I nostri ragazzi meritano fiducia: tante sono le loro potenzialità!
Sono contenta di non essere diventata avvocato, certo avrei difeso gli oppressi ma non avrei sperimentato che dietro quel “perché”, dietro le ingiustizie, si nascondeva ciò che ha dato senso alla mia vita. Come consacrata a Dio vivo anche le attività nelle scuole come servizio per far crescere il suo Regno, per servirlo in chi soffre, per compiere la missione che Lui mi ha affidato.
Siamo fatti per la relazione, per l’amicizia e la diversità data dal colore della pelle, dalla provenienza e dalla lingua non può mai essere causa di oppressione, tanto meno in nome del dio Potere. Tutto questo i ragazzi che incontro lo percepiscono perché la sete di relazioni, che è fonte della vera gioia, è viva in ciascuno di loro!