Lettera di padre Emanuele Ciccia dalla missione di Robe, in Etiopia, dove si trova da 7 mesi insieme alle missionarie Elisabetta Fabbri, Maricarmen Pagan e Teresa Zullo
Visita alla scuola di Alen Gena
A dicembre, appena arrivato a Robe, sono riuscito a procurarmi una cartina dell’Etiopia. Aiutati da un evidenziatore azzurro, insieme a fra Angelo Antolini, prefetto apostolico di Robe, vi abbiamo tracciato sopra con pazienza i confini della nostra Prefettura Apostolica, che comprende un territorio di 102.769 km quadrati (circa un terzo del territorio italiano) e una popolazione complessiva di 3.295.278 abitanti. Di questi, poco più di 60.000 sono raggiunte e servite da attività di prima evangelizzazione o sociale.
Abbiamo poi tracciato il territorio che è stato affidato alla nostra Comunità, composto di quattro centri abitati, Robe, Goba, Alem Gena e Dinsho, oltre a numerosissimi centri più piccoli non ancora raggiunti. Indipendentemente dalla scala di riferimento di quella cartina, mi ha subito colpito il contrasto tra i pochi centimetri che indicano la nostra presenza missionaria e i tanti centimetri (che in realtà sono migliaia di chilometri) che separano la nostra missione dal confine con la Somalia, dove ancora non si è giunti.
Questi primi mesi di vita in terra etiope mi incoraggiano a riempire di qualità la presenza della Comunità e a testimoniare, attraverso il nostro esserci, il Vangelo. Prima ancora che con le parole, infatti, è nostro desiderio incarnare, come Comunità, la Parola e l’amore di Dio, soprattutto nei centri abitati che ci sono stati affidati. Oltre a questo desiderio, non nascondo che lo sguardo, talvolta, si rivolge appassionato verso quei 15-20 centimetri della cartina che si spingono verso la terra somala.
Sono convinto che l’annuncio del Vangelo non inizierà quando raggiungeremo un livello A2 o B1 di lingua oromo o amarico, cosa che comunque stiamo provando a fare, pur con tante difficoltà. Credo che l’annuncio, piuttosto, inizi offrendo la nostra amicizia, rendendoci disponibili all’incontro sui mezzi pubblici o, semplicemente, facendo la spesa al mercato. Per questo stiamo investendo nella quotidianità e nello stare il più possibile in mezzo alla gente. Si tratta di abbandonare la comodità, fare sfacciatamente il primo passo verso gli altri e “mettersi in strada”… quando ci si muove, quando ci si mette per strada, è inevitabile che capiti qualcosa, che succeda qualche novità.
Negli Atti degli Apostoli i cristiani, prima di essere chiamati così, erano “quelli della Via”, per questo noi stiamo cercando di essere il più possibile per strada, dove abbiamo già raggiunto qualche piccolo, buon risultato: non poche sono le visite alle famiglie che sono nate dalla curiosità suscitata nella gente mentre io, Elisabetta, Teresa e Mari Carmen eravamo, semplicemente, proprio per strada. Tuttavia, negli ultimi mesi, le restrizioni per impedire la diffusione del Covid-19 ci hanno tenuti maggiormente in casa.
A coloro che, amici e parenti, vicini con l’affetto e la preghiera, mi chiedono quali siano le povertà più grandi a cui far fronte, risponderei… le mie! Ignoriamo la lingua e la cultura, siamo estranei all’eroismo, inclini come tutti allo scoraggiamento davanti alle grandi sfide o all’incredulità! Eppure, ciononostante, siamo stati inviati da Dio a testimoniarlo, già presente e operante, in questa terra a maggioranza musulmana, dove i cattolici sono solo lo 0,03% della popolazione. Per non parlare di quei 15-20 centimetri della cartina che tanto mi attraggono, dove la Chiesa non esiste e le nostre sorelle e fratelli dell’Islam raggiungono quasi il 100% della popolazione.
In questo contesto multiculturale e multi-religioso credo, anzitutto, nel valore del bene che si offre e che si riceve, nell’Amore che le persone possono scambiarsi indipendentemente dal Dio in cui credono o dalle diverse culture di cui sono espressione.
Questa convinzione l’ho maturata e rafforzata durante il periodo trascorso in Italia, grazie alle amicizie e ai legami intrecciati che tuttora mi accompagnano. Due settimane dopo l’arrivo a Robe ho ricevuto la foto di un bollettino postale, dono per la nostra missione etiope appena avviata: l’importo era stato versato da 6 amici, giovani richiedenti asilo provenienti dall’Africa occidentale, con i quali ho condiviso tanto durante il periodo della loro accoglienza presso la Comunità di Lonato del Garda.
Da questi ragazzi ho ricevuto incoraggiamento e stima per questa missione… una missione umile, che viaggia attraverso relazioni interpersonali che vanno costruite da zero. Missione che stiamo vivendo senza grandi attese ma che sentiamo essere già abitata da Dio, che si sta facendo particolarmente presente, oltre che nella gente che incontriamo, nella comunione con fra Angelo, grande missionario, padre e fratello. È un dono la presenza dei missionari fidei donum della Diocesi di Padova, di don Giuseppe Ghirelli della Diocesi di Anagni-Alatri, di p. Bernardo Coccia dell’Ordine dei Frati Minori, delle missionarie della Carità di Madre Teresa, delle Suore Francescane Missionarie di Cristo. Questa comunione, insieme alle amicizie che ci portiamo dall’Italia e alle nuove che stiamo stringendo, sono la nostra forza.
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