Il fenomeno delle migrazioni è al centro del dibattito pubblico. Attraverso la testimonianza di Elisabetta Dessì, fondatrice dell’Associazione La Matrioska, cogliamo una risposta possibile, quella dell’accoglienza
La Matrioska è un laboratorio tessile, creativo e sociale che nasce nel febbraio 2019, a Quartu S. Elena (Ca). Parola chiave del progetto è: Accoglienza. Una matrioska può accogliere al suo interno infinite altre matrioske, come può essere contenuta dentro altre infinite volte. È simbolo della capacità della vita che non ha limiti.
Tessile perché offre corsi di formazione sartoriale. Creativo perché accompagna le persone alla scoperta del loro potenziale e alla loro autorealizzazione. Socialeperché si rivolge a persone spesso ai margini della società.
Il progetto pilota de La Matrioska, #Cucirelaccoglienza, si è realizzato grazie ad una raccolta fondi che ci ha permesso di comprare due macchine da cucire e una taglia e cuci e pagare un compenso ad una sarta professionista. Hanno partecipato al progetto quattro richiedenti asilo, che hanno seguito un corso di primo livello di taglio e confezionamento. Durante il corso i ragazzi hanno imparato a cucire una gonna, un pantalone, un vestito e una serie di accessori moda e tessili per la casa, la cui vendita sostiene sia loro che l’associazione.
Sei una psicologa che fonda un’associazione di cucito! Puoi condividerci quale connessione tra questi ambiti?
È
vero sono una psicologa. E casualmente, o forse per progetto divino, ho
cominciato a formarmi per il settore dell’accoglienza, prima a Cagliari e poi a
Roma, imparando tante cose dalle persone incontrate. Questa formazione mi ha
permesso di lavorare in diversi centri di accoglienza di migranti.
Da psicologa in un centro di accoglienza ho colto la grande difficoltà ad offrire dei percorsi di integrazione sociale ai nostri ospiti, anche per l’ostilità della comunità ospitante. È stato necessario mettersi in ascolto e capire quale risposta potessimo dare ad un bisogno del territorio, e qui è nata la Matrioska, un progetto che mi ha permesso di rispondere personalmente, coniugando la mia formazione accademica con una mia grande passione, il cucito.
Quali frutti raccogli da questo progetto?
Un progetto di questo tipo aiuta a cambiare l’opinione nei confronti di queste persone, li vede impegnati in un progetto formativo e costruttivo, smonta il pregiudizio per cui “stanno in piazzetta tutto il giorno a non combinare niente”.
Inoltre
proviamo a trasmettere ai ragazzi, che partecipano al progetto, una competenza
sartoriale che, anche se non avrà uno sbocco lavorativo, avrà comunque utilità
nella vita di ciascuno. Ma ciò che si impara è anche la condivisione di uno
spazio di lavoro, l’importanza di tenerlo in ordine, il rapporto con la
clientela, la puntualità e la frequenza.
Lavoriamo,
inoltre, in un’ottica di sostenibilità ambientale, scegliendo di non acquistare
stoffe per la creazione dei nostri manufatti ma riciclando solo materiali
ricevuti in dono e riducendo, nel nostro piccolo, l’impatto inquinante
sull’ambiente della produzione tessile.
A che punto è il progetto in questo momento?
Attualmente subiamo anche noi gli effetti della pandemia. La nostra attività ha avuto un fermo forzato, causando una precarietà che si somma alla già compromessa stabilità delle persone che accompagniamo. Il desiderio è quello di poter continuare ad essere una realtà di riferimento per l’inclusione, ma soprattutto crescere, diventare uno spazio lavorativo, stabile a tutti gli effetti, per cui alla formazione possa seguire, per gli allievi più talentuosi, una svolta professionale che sia reale occasione di riscatto sociale e autonomia.
Che messaggio ti piacerebbe dare?
Se tutti noi scoprissimo quale è la passione pulsante della nostra vita, non inventeremmo più scuse per non scegliere, per stare fermi. Scegliere di accogliere, integrare e proteggere non significa battersi sui social a colpi di post a favore della causa pensando che tanto, concretamente, “altri” se ne occuperanno. Oppure lamentarsi, senza agire. Tutti, nel proprio piccolo e senza atti di particolare eroismo, possiamo compiere piccoli gesti quotidiani per rendere la comunità in cui abitiamo più vivibile, inclusiva e solidale. Noi siamo la comunità in cui viviamo e possiamo farne un posto migliore.
Grazie Elisabetta della tua testimonianza, per aver trasformato la tua scelta lavorativa in un progetto di accoglienza e integrazione. Accogliere, integrare, tessere…sono dei verbi molto cari a papa Francesco anche nell’ultima enciclica, Fratelli tutti.
In questo mese di novembre in cui celebriamo la giornata dei poveri vorremmo tenerlo presente in un modo speciale.
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