Tra preghiere, gesti semplici e storie di speranza, il richiamo del Signore in un pezzo di Africa che attende
La seconda domenica di Avvento l’ho vissuta nella chiesa Virgem de Fatima. Si tratta di una tettoia costruita sulla sabbia, dove prima di iniziare la celebrazione tutti collaborano per creare un ambiente adeguato: portare il tavolo e le sedie o preparare l’altare per la liturgia della Parola.
Appena arrivata, una bambina di due anni di nome Joselda mi è venuta incontro con tenerezza e mi ha fatto strada, pur non conoscendomi. In questo semplice gesto vi ho scorto l’iniziativa del Signore che anche in questo Avvento ci tende la mano, prende l’iniziativa per incontrarci, desidera essere accolto da noi, si fa bambino per essere amato da ogni uomo sulla Terra. Una verità che oltrepassa i confini, vale per tutti, in Europa come in Africa. Siamo così al cuore di questo tempo forte: Dio ci attende, ci cerca.
C’è poi un’altra dimensione, quella più comune e conosciuta, della nostra attesa come cristiani: le quattro domeniche, i paramenti e le candele, la preghiera, le riflessioni, le recite natalizie, il presepe, i fioretti… Ma c’è anche chi vive l’Avvento, spesso non conoscendo cosa sia un anno liturgico con i suoi tempi forti, perché attende di incontrare Dio, di vivere e non sopravvivere, di avere una vita degna di essere vissuta, nella pace e nella giustizia.
Allora penso alla signora Deolinda che, da quando il marito non ha più lavoro, riesce a preparare solo un pugno di riso per la sua famiglia. Penso a che cosa prova quando il figlio le chiede la merenda da portare a scuola e lei non ha nulla da offrirgli.
Penso a Julieta, la giovane mamma incontrata al corso di alfabetizzazione, dove anche persone adulte possono imparare a leggere e scrivere. Mentre si barcamenava con l’alfabeto e la divisione in sillabe, mi ha detto: “Sono contenta di imparare, è bello saper leggere e scrivere!”.
Penso ancora al giovane Simão conosciuto nella serata realizzata per coloro che vivono in strada. Stava suonando il batuqui, un tamburo, abbiamo chiacchierato, condiviso i suoi sogni, il suo desiderio di una vita diversa, ma poi è tornato a vivere in strada come tanti altri, nell’oscurità della città.
Penso anche al signor Alberto, settantenne in pensione. Il giorno delle elezioni ha scoperto che la sua scheda elettorale era stata già firmata, ma lui non aveva ancora votato. Ha reclamato, ha atteso tutto il giorno sotto il sole a 40 gradi e poi a sera per riuscire a mandarlo via, gli hanno consegnato la scheda di un’altra persona su cui esprimere il suo voto. È stato invaso da un profondo senso di ingiustizia.
Attesa di pane, attesa di istruzione, attesa di futuro, attesa di giustizia… sono tante le attese. Allora la preghiera “Vieni Gesù, Maranathà” che cantiamo e preghiamo in questo tempo è una preghiera viva.
Avvento in questa periferia, come in tutte le periferie del mondo, non è fatta di luminarie, di vetrine allestite, di alberi di Natale con mille addobbi, liste di regali, cenoni e feste. Con voi chiedo al Signore che anche in questo pezzo di Africa ci siano angeli che annuncino il Salvatore, l’unico che dà senso e profondità alle stesse di ogni uomo e di ogni donna: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. Alleluia.
Felicia Romano