Nel decennale della Laudato si’, un nido sulla finestra diventa parabola di attesa e speranza. La conversione ecologica passa anche da gesti lenti, scelte consapevoli e uno sguardo nuovo sul tempo di Dio
Un giorno, nell’angolo di una finestra della nostra cappella, scorgo un’opera d’arte: un nido, meravigliosamente costruito, con due piccole uova bianche. Pochi secondi dopo, giunge una tortorella e si pone con dolcezza a covare. Giorno dopo giorno, passavo a osservare e la tortorella immobile non si scostava di lì. Una paziente attesa, una cura al contempo soave e forte. Giorno dopo giorno, sentivo nascere in me la fretta di vedere il risultato, una certa impazienza nell’attendere il momento clou… Madre natura, che maestra di vita!
Sperare, attendere, pazientare si danno la mano, vanno a braccetto. Una persona che spera è una persona che sa attendere pazientemente sapendo che quel giorno arriverà.
Come ci ricorda San Paolo: “…la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza”[1].
I tempi di Dio non sono i nostri. Sono lunghi, ma ricchi di una fecondità che perdura, di un frutto resiliente; l’essere umano desidera la rapidità, che spesso produce risultati labili, frammentati, effimeri.
Il Giubileo della Speranza ci invita come cristiani a un salto di qualità: imparare da madre natura a rallentare, ad aspettare, a pazientare, a non pretendere tutto in fretta e subito, distruggendo i ritmi sacri impressi nel DNA di ogni creatura.
Quante infermità del nostro secolo sono la scia di un’economia che impone un ritmo accelerato? Per esempio, che un terreno produca due o più raccolti all’anno, che un albero produca il doppio dei suoi frutti, che si faccia sempre più ricorso agli allevamenti intensivi di animali o all’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi ad alta efficienza che provocano la distruzione di biodiversità.
Il 25 maggio ricorre il decimo anniversario della pubblicazione dell’enciclica di papa Francesco, Laudato si’, che ci esorta alla cura della nostra Casa comune. Possiamo ringraziare per tanti piccoli passi compiuti nel pianeta verso una costante conversione ecologica. Passi lenti, a volte provati, faticosi ma che stanno innestando processi di cambiamento a livello di mentalità, di progettazione, di attuazione a livello micro e macro.
Non desiderare sempre il nuovo, arrivare dieci minuti dopo usando la bicicletta, imparare a convivere con il freddo e con il caldo, evitando di diventare schiavi di un ambiente perfetto con il riscaldamento o con l’aria condizionata; usare la propria borraccia evitando la plastica, optare per energie rinnovabili a vantaggio di una minor produzione di anidride carbonica, crescere in una mentalità che sa stupirsi e godere di tutto ciò che la circonda senza desiderare di raggiungere i posti più remoti della terra per una vacanza poco sostenibile…
Io, la mia famiglia, la mia comunità, il mio quartiere, la mia nazione stiamo muovendo passi di conversione ecologica?
“Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite a i suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea”[2].
“Basta un uomo buono perché ci sia speranza! … attraverso Noè, che si conservava integro e giusto, Dio ha deciso di aprire una via di salvezza…”[3] e se quell’uomo buono fossi io?
Patrizia Rigato e commissione ecologia integrale
[1] Rom 5,3-4
[2] Papa Francesco, Enciclica Laudato sì, 11
[3] Idem, 71