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Una Chiesa giovane

In un Paese in cui oltre il 70% della popolazione è musulmana, i cristiani cattolici sono una minoranza, ma hanno un grande entusiasmo e testimoniano la loro fede con gioia e tanti sacrifici

Quali sono le caratteristiche religiose della popolazione burkinabé?

Un aspetto comune a molti popoli africani è una religiosità che permea ogni circostanza della vita, per cui ogni progetto va presentato a Dio, tutto va accompagnato con la preghiera. Per ogni cosa si rende grazie, anche se l’esito non è stato quello desiderato. Un’altra cosa che mi colpisce è la necessità di creare strutture ecclesiali molto organizzate e gerarchizzate, come tipico della società tradizionale da queste parti. Troviamo perciò le comunità cristiane di base o i movimenti in cui decine di persone occupano ognuna un ruolo diverso e definito: presidente, segretario, tesoriere, organizzatore, addetto alle comunicazioni, alla liturgia, all’ordine.

Cosa significa evangelizzazione in un Paese dove oltre il 50% della popolazione è di religione musulmana?

La convivenza pacifica tra le religioni è una caratteristica di questa zona d’Africa che ha conosciuto un’Islam molto tollerante, penetrato fin dall’inizio del secondo millennio; questa convivenza però può generare confusione, sincretismo, vagabondaggio dall’una all’altra fede o religione. Tipico è l’esempio del digiuno, che viene vissuto dai cristiani secondo le regole dei musulmani, cioè dall’alba al tramonto senza neppure bere, mentre i musulmani chiamano comunemente «quaresima» il mese di Ramadan. A volte il confronto può divenire scontro, specialmente negli ambienti dove la religione è un elemento impor-tante dell’identità, come può accadere in tante famiglie fortemente identificate col fatto di essere musulmani o cristiani. Per questo nell’annuncio dobbiamo tener conto che nel nostro uditorio ci sono mentalità molto diverse e persone in fase di prima scoperta del Vangelo.

Quali sono i luoghi della vita quotidiana in cui incontrate e dialogate con le persone?

Quali sono i bisogni spirituali che raccogliete? Oltre alla chiesa principale, che è il luogo nel quale si concentra la maggior parte delle attività, ci sono altre due chiese dove celebriamo la messa la domenica e sono centro di incontro per molte persone. Il territorio è suddiviso in 25 comunità di base e ognuna di esse è punto di riferimento per gli abitanti di quel quartiere. La celebrazione di battesimi, matrimoni e funerali ci per-mette di entrare nelle case di ogni livello. Altri luoghi di incontro sono le scuole, il mercato, i centri medici, dove facciamo conoscenze che diventano amicizie e rapporti stabili, a partire da semplici incontri. Normalmente le persone sono piuttosto riservate, tuttavia, quando c’è un bisogno spirituale, ci cercano molto; le giornate passano in fretta quando ci sediamo all’accoglienza negli uffici parrocchiali, ascoltando le persone che ci presentano i loro problemi o le loro gioie.

Ci puoi raccontare un aneddoto o un’esperienza che ci faccia meglio comprendere questa realtà?  

La Chiesa è giovane non solo perché recentemente evangelizzata, ma anche per l’età media della popolazione, metà di essa ha meno di 18 anni. Una grossa fetta del lavoro della parrocchia è la catechesi. Quest’anno abbiamo avuto oltre seimila iscritti e celebrato duemila sacramenti (battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni). È tra i catecumeni adulti che si trovano le storie più sorprendenti. Tra loro ho conosciuto una giovane donna di nome Minata, alla quale ho chiesto perché ha deciso di iscriversi alla catechesi. «Sono di famiglia musulmana, andando a scuola ho conosciuto delle amiche cattoliche, ascoltando le loro preghiere e i loro canti mi sono sentita attirata dalla loro gioia. Vorrei far parte anch’io di questa famiglia». Capiamo che «la gioia del Vangelo» è tutt’altro che un modo di convincere con dei ragionamenti, come ci ripete papa Francesco. Noi missionari siamo spettatori di questa gioia che si diffonde per la sua stessa forza contagiosa.

Da qualche tempo la comunità parrocchiale accoglie gli sfollati che fuggono dal terrorismo nel nord del Paese. Quali sono le caratteristiche di queste persone, di cosa hanno maggiormente bisogno?

Negli ultimi anni sono diverse le famiglie che arrivano nella nostra missione dai territori in cui è in corso la guerra. Le storie degli sfollati sono intrise di grande dolore. Fuggono dai loro villaggi nelle città più vicine, alcuni arrivano fino alla capitale, ma sono agricoltori o allevatori e in città non c’è terra da coltivare o spazi per l’allevamento. Altre volte sono solo le donne e i bambini a scappare, mentre gli uomini restano nel luogo di origine per proteggere i loro beni. Diamo loro accoglienza, li accompagniamo nell’inserimento sociale e lavorativo.

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