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Tra il dire e il fare c’è di mezzo il sostare

Sabato 24 febbraio, in via dello Scalo a Bologna, dove da qualche mese è iniziata un’ospitalità notturna
per persone immigrate senza dimora, ci siamo fermati per scaldare il cuore al fuoco della Parola,
della preghiera di adorazione e della condivisione fraterna.

Eravamo membri consacrati della comunità, volontari, amiche e amici con cui condividiamo un pezzo di cammino nella fede. Insieme e in modi diversi, collaboriamo nel farci vicino con affetto e umanità alle persone che incontriamo ai margini, per esempio, quando usciamo il sabato sera per le strade del centro di Bologna.

In questa sosta di spiritualità, ci siamo lasciati guidare dal messaggio del Papa per questa Quaresima. Abbiamo vissuto un breve percorso caratterizzato da tre passaggi: contemplare un unico amore, quello verso Dio e il prossimo, per camminare verso la libertà e per ripensare a vie possibili di speranza. Per papa Francesco, infatti, “la dimensione contemplativa che la Quaresima ci fa ritrovare, mobiliterà nuove energie”, che danno forma ad azioni politiche, civili e sociali generative. Quaresima è tempo di conversione e libertà: è tempo per ridefinire gli orizzonti e i paradigmi che ci orientano, a volte ereditati o assunti in maniera automatica, senza un senso critico. In questo tempo forte verso la Risurrezione, possiamo trovare, usando le parole del Papa, “nuovi criteri di giudizio e una comunità con cui inoltrarci su una strada mai percorsa”.

Questo processo di conversione fa scorgere orizzonti inediti. Esso è reso possibile grazie alla forza disarmante e tenera del vangelo che anche quel pomeriggio in via dello Scalo, è stato proclamato, ascoltato, meditato e condiviso. Esso, in particolare il brano dell’incontro di Gesù con il lebbroso, narrato dall’evangelista Marco all’inizio del vangelo (Mc 1,40-45), ci ha aiutati a mettere in evidenza quanto tutti gli esseri umani sono accomunati da un bisogno di inclusione, di accoglienza e di salute. Soprattutto ci ha fatto percepire che anche chi ha la possibilità di aiutare qualcuno porta in sé i segni della fragilità e della vulnerabilità, e che spesso ha bisogno di ritrovare un centro, come cantava Battiato, di gravità permanente per stare in maniera benefica e liberante nella relazione d’aiuto.

L’aver sostato per accogliere con cuore orante la Parola ci ha fatto capire che possiamo partire proprio da una condizione umana fragile e potenzialmente vulnerabile che accomuna tutti, per dare vita a un’azione sociale di cura che sia creativa, competente e tenera allo stesso tempo, in sinergia con altri attori che si spendono per il bene: un’azione che sia generativa, perché non è individualista e centrata su di sé, ma collaborativa e consapevole anche dei limiti.

Ci è sembrato importante prendere una sosta per rinnovare i nostri orizzonti di senso e di significato, affinché potessimo continuare a prenderci cura della carne e della vita di sorelle e fratelli bisognosi che incontriamo nei diversi servizi in cui stiamo, ma anche negli incontri sorprendenti della vita, che avvengono spesso quando rimaniamo aperti all’alterità.

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